Pasqua di risurrezione?

Cervello risortoEro sorpreso come si parlasse nel telegiornale per bocca del vescovo della chiesa romana di «Pasqua di risurrezione». Mi dissi subito: «Gesù non è per nulla risorto a Pasqua!». Oramai si è creato un luogo comune, che è tenuto artificialmente in piedi dal consenso religioso. In effetti, a Pasqua morì Gesù, ma risuscitò solo tre giorni dopo (cfr. Mt 27,63; Mc 8,31; 9,31; 10,34; Lc 24,46), appunto il primo giorno della settimana (Mc 16,9; allora cominciava sabato dopo il tramonto).

Il nostro agnello pasquale è il Messia, il quale è stato appunto immolato a Pasqua (1 Cor 5,7; cfr. Gv 13,1; 18,28).

Per altro la Pasqua è l’unica ricorrenza, di cui troviamo nel nuovo patto la seguente esortazione: «Celebriamo dunque la festa!» (1 Cor 5,8). Per farlo, bisogna purificarsi dal vecchio lievito morale e spirituale (v. 7; v. 8 malizia e malvagità; cfr. v. 11 idolatri, fornicatori, ecc.). Il modo di festeggiarla è indicato da Gesù stesso, quando istituì la «cena del nuovo patto» e comandò: «Fate questo in memoria di me!» (Lc 22,15-20; 1 Cor 11,23-26; cfr. v. 20 kyriakòn deĩpnon «cena signorile»). Non si tratta di un «mistero sacramentale», mutuato alla pagana religione dei misteri e cristianizzato; al contrario, la mentalità magica applicata alla «cena del Signore» porta a mangiare il pane o a bere del calice del Signore indegnamente, rendendosi colpevoli e degni di giudizio (1 Cor 11,27.29s). Non si tratta neppure di un pubblico spettacolo portato per le strade, ma di un’intima rammemorazione dei rigenerati in attesa dell’avvento del loro Signore (v. 26). Inoltre, è una reciproca partecipazione di comunione fra fratelli (v. 33), del «corpo di Cristo» con il suo «Capo», unico Capo della chiesa (cfr. Ef 5,23; Col 1,18; 2,19).

In tale occasione si potrà dichiarare ancora una volta con l’apostolo Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). E ancora: «Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. [8] Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo [9] e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. [10] Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, [11] per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti» (Fil 3,7-11).